Sul dolore

Credo esistano 2 grosse famiglie di dolore, che ogni persona vive
sempre in maniera diversa. La prima è la famiglia dei dolori "più
facili da accettare", la seconda è la famiglia dei dolori
considerati "quasi impossibili da accettare". Ognuno classifica il
proprio dolore in una o nell'altra secondo il proprio carattere e il
propio io interiore.

Personalmente un dolore che classificherei difficile da accettare è
per esempio la perdita di un figlio o, un figlio che a causa di un
incidente rimane paraplegico, che supera credo di molto la perdita
di un congiunto. In ogni caso non esiste un ugual metro di misura
per tutti.

Oltre a questi tipi di dolore credo ce ne sia uno in particolare che
entra nella famiglia dei "quasi impossibili da accettare": è un
dolore il cui valore assoluto può essere molto inferiore come
gravità ad altre sofferenze, è, per esempio, quel dolore dovuto al
rendersi conto che la colpa di un determinato accadimento è
unicamente nostra, oppure, cosa ancor più grave, il rendersi conto
che siamo "sbagliati dentro", quella sofferenza dovuta alla perdita
di stima in noi stessi come individui.

Quando
subentra, credetemi, è terribile, ti logora dentro e si

rischia di cadere in un gorgo che precipita i'io verso le profondità
più scure.

Anche un cancro da questa sensazione, ma non per il fatto che ci
condanna a pochi mesi di vita, bensì perché inconsciamente ci
rendiamo conto di aver perso la nostra battaglia contro la morte.

Chi ha il dono di vivere nella fede può trovare in essa un valido
aiuto. Gli altri devono far affidamento solo su sé stessi.

Nessuno è mai "perso" del tutto, forse gli atei devono lottare di
più, ma la forza per superare anche la famiglia dei "quasi
impossibili da accettare", esiste e sempre si trova in un angolo
della nostra coscienza.

Allora vorrei esortare chi si trova in preda alla "nebbia della
sera", di cercare quella forza che esiste nell'imo di ognuno di noi,
con l'assoluta certezza di trovarla.

Ary