Come
ombra nel bosco dei pensieri occulti s’aggirava
mostro partorito da menti scarlatte
adorava cibarsi di anime immonde:
quelle dei bastardi
Non curandosi del suo miserabile aspetto
relegava al suo ventre ogni decisione
E di sicuro ingrassava ogni giorno
di fetido grasso insano.
Sagge le fate lasciavano fare
consce del fatto che era un Dio malato.
Lascive insinuazioni dentro viscere putrefatte
sangue velenoso il suo grido
sopra ogni gloria divina
Era l’artiglio del genere umano
lanciato da un arco incandescente
a trafiggere vagine vergini e piene
E del redente scorpione
il giallo antracite del buio
avanzava cheto verso
innocenti candori
E di sperma bevuto come fiele
e di Polline passivo dal sapore Stucchevole
il giorno e la notte ai nuovi nati morti
andava
Non un grido, non un urlo
non un solo lamento
per quell’orgia di catartici escrementi
Eppure unico cibo di quel Dio
clone di miasmi e fogne di liquami
densi come urina di mulo deforme
Rancido e acre
Il nettare
bevuto a sorsi pieni per non
morire giovane e senza prece
Vomito era il suo credo
Sterco il suo fine.
Ary