L’ultimo delirio di un finto poeta

 

 

Come musica a cascata a giocar con le parole

Non fai risparmio

mentre di metafore son pieni i deliri

di ogni diavolo e santo.

 

E mai si dica al "mozzo cieco"

che a ramazzare il ponte

Non si squadra la notte.

 

Oscilla la base del creato

come spiga mossa da venti aguzzini

Durante la discesa dell’orda 

attraverso gangli e capillari.

 

Turpe l'assioma di idee scarlatte

che dello zircone si vanta

sicchè fosse diamante.

 

A stolti esseri rubi il senno

per iniettarlo nelle vene di una terra paziente

e lei madre di tutte le madri accetta

china e supina.

 

Le strapperesti i vestiti!

Come fossero di carta velina e ingoieresti i suoi urli

per far di tutta la poesia un sol boccone.

 

Ma la dea non vuole sprecar tempo

a coltivare orti nel deserto.

E pescando nelle crepe dei muri

come ragnoregina rinnega la sua preda.

 

Che orgia di sensi scatenano le note dei tuorli

condite con il sale e il pepe dell’esistenza,

ma tu, oh finto poeta, non sei tuorlo, sei albume

che di rosso ti vesti per sfuggire al tuo sangue dannato.

 

Epurea è la tua catarsi pregna di oscene vestali 

che a passi di lince ignora

 lo stile sempre più arguto dell’orca selvaggia.

 

Lo sanno i savi e meno i geni,

che a far nascer aurore di cobalto

dentro le menti dei servi

Sei maestro,

ma ignori a quanti gradi bolle il mosto

e nuoti senza coscienza verso la fine.

 

Ary 14/11/05-24/04/07